di Richard Pithouse, il Manifesto, 2010
L’African National Congress (Anc) è salito al potere nel 1994 grazie
ad una delle più significative mobilitazioni popolari della storia
recente e con massiccio consenso elettorale. Il partito era dominato da
un’élite nazionalista e stalinista che mirava alla totale egemonia sulle
forze progressiste, e quasi tutte le organizzazioni di base hanno
rinunciato volontariamente alla propria autonomia in suo favore.
Il nuovo stato non ha abbandonato i poveri. Al contrario, ha cercato
di contenerli. Confluite sotto l’autorità dell’Anc, ben presto le
organizzazioni politiche di base sono diventate per i singoli un mezzo
per fare carriera nel partito, e per il partito un mezzo per controllare le comunità
locali. Alla classe lavoratrice sindacalizzata sono state offerte nuove
tutele, attraverso accordi di tipo corporativo. Ai poveri sono stati
offerti sussidi a carattere sociale immediati e universali, e inoltre è
stata loro promessa la progressiva «erogazione» di case e di servizi
essenziali quali l’acqua, l’energia elettrica, i servizi igienici, la
rimozione dei rifiuti. Ma questa «erogazione», caratterizzata da una
forte disuguaglianza, era accompagnata dal progetto di risegregare le
città in base alla classe e di far transitare i poveri in un sistema in
cui questi servizi dovevano essere trasformati in merci.E molti di loro,
semplicemente, non potevano permetterseli. I poveri hanno così scoperto
che spesso, per loro, «sviluppo» significava essere sfrattati dalle
baracche e dalle case popolari in cui vivevano, o vedersi tagliare la
fornitura di acqua o di energia elettrica.
Nel 1998, dopo la morte per Aids di Simon Nkoli - l’attivista
anti-apartheid e per i diritti dei gay che non poteva permettersi la
terapia antiretrovirale - è nata la Treatment Action Campaign (Tac).
Trasformatasi in un movimento di massa organizzato attorno a un nucleo
professionale di Ong, questa organizzazione ha proposto all’Anc una
critica leale della posizione di quel partito sull’Aids. Con la sua
capacità di utilizzare un mix tra mobilitazione di massa, mezzi di
informazione ad alto livello e strategie legali, la Treatment Action
Campaign è riuscita a contrastare sia il tentativo delle case
farmaceutiche di ricavare profitti dalla pandemia di Aids, sia il
negazionismo e la ciarlataneria del governo di Thabo Mbeki. La Tac ha
avuto inoltre un ruolo cruciale nella legittimazione di alcuni tipi di
dissenso nei confronti dell’Anc.
La campagna contro gli sfratti Anti-Eviction Campaign (Aec) è nata
all’inizio di questo secolo dalle lotte popolari contro gli sfratti, i
tagli alle forniture di acqua e di energia elettrica, e le violenze
della polizia a Cape Town. Sin dall’inizio, l’Anti-Eviction Campaign ha mes-so in chiaro che i
suoi organizzatori e leader sarebbero stati espressione delle comunità
povere. La sua tattica, molto più che in qualunque altro movimento
post-apartheid, si è basata su azioni di militanza diretta, come ad
esempio far rientrare le persone sfrattate nelle loro case. Essa ha
incluso azioni innovative di ogni tipo, miranti a scompaginare il
sistema legale. Il movimento ha preso una posizione chiara contro la
politica su base elettorale e propone invece la costruzione di un potere
popolare.
Nello stesso periodo è nato a Johannesburg il Forum
Anti-Privatizzazione (Anti-Privatisation Forum). Sviluppatosi a partire
dalle lotte sindacali e degli universitari, l’Apf è un fronte allargato
che, pur comprendendo una varietà di prospettive ideologiche, ha
espresso la posizione più nettamente socialista tra i movimenti sociali
post-apartheid. Dispone di personale e collaboratori retribuiti
provenienti dai sindacati, dalle organizzazioni sul territorio, da
organizzazioni studentesche e da piccole organizzazioni politiche, e
lavora a stretto contatto con una serie di Ong della sinistra. È
intervenuto contro gli sfratti, contro il taglio dei servizi essenziali e contro
l’installazione di misuratori prepagati per l’acqua attraverso la
mobilitazione di massa, l’azione diretta e l’azione legale.
il movimento dei senzaterra
Poco più tardi, da una iniziativa di alcune Ong di sinistra attive
sulla questione della terra, è nato il Landless People’s Movement
(Movimento dei senza terra), che però tre anni dopo ha rotto con le Ong e
da allora opera autonomamente come movimento controllato dalla base. Nel 2004 il
Landless People’s Movement ha scandalizzato l’Anc lanciando un
boicottaggio elettorale con lo slogan No Land! No Vote! ed è stato
oggetto di una forte repressione, ivi compresa la tortura di alcuni suoi
militanti. Non è più in grado di operare a livello nazionale ma
continua ad avere una presenza attiva in alcune baraccopoli attorno a
Johannesburg.
Come l’Anti-Eviction Campaign di Cape Town, il Concerned Citizens
Forum (Ccf) di Durban è nato anch’esso in risposta al taglio dei servizi
essenziali e agli sfratti. A differenza dell’Anti-Eviction Campaign, il
Concerned Citizens Forum è stato sostenuto e guidato da personalità di
alto profilo, capaci di esercitare una influenza considerevole sulla
sfera pubblica, e ha largamente mobilitato gli abitanti di due comunità
nere povere di Durban che in precedenza avevano sostenuto i partiti
pro-apartheid. Questo ha consentito al Concerned Citizens Forum di
articolare un discorso militante di dissenso verso l’Anc. Il Ccf ha
anche cercato di competere nelle elezioni amministrative, ma senza
successo. I suoi leader della classe media, innovativi e carismatici,
erano disposti a uno sconto frontale con lo stato ma si opponevano alla
creazione di strutture democratiche che permettessero al movimento di
svilupparsi, e di conseguenza il movimento ha avuto vita breve.
Nel 2004 l’iniziativa politica è andata decisamente alla classe
popolare. In tutto il paese le comunità locali hanno cominciato a
organizzare mobilitazioni con un ritmo impressionante. Diversamente da
quanto era accaduto in quasi tutti i movimenti sociali di prima
generazione, la maggioranza di queste proteste sono state organizzate
senza alcuna influenza delle Ong o dei progetti politici di avanguardia.
Secondo la polizia, tra il 2004 e il 2008 c’è stata una media di più di
dieci proteste caratterizzate da «disordini». Queste proteste erano solitamente guidate da giovani disoccupati, spesso organizzate nelle
baraccopoli, e intendevano prendere di mira politici locali e leader di
partito. La tattica principale è il blocco delle strade, ottenuto dando
fuoco a copertoni.
Il sociologo di Johannesburg Peter Alexander solitamente definisce
queste proteste «un massiccio movimento di proteste politiche locali
militanti» ma lo stato, i media e la gran parte degli accademici le
definiscono sempre «proteste per i servizi». L’operazione ideologica di
etichettare la ribellione popolare in corso come una serie di «proteste
per i servizi» è chiara. Permette allo stato, e ai suoi alleati nella
società civile, di presentare le rivendicazioni contenute nella protesta
popolare come una semplice richiesta di maggiore efficienza da parte
del sistema attuale. In realtà queste proteste sono spesso fortemente
critiche rispetto al modo, oltre che al ritmo, della «erogazione dei
servizi» e spesso includono richieste esplicite di un sistema più
partecipativo.
La maggior parte di queste proteste sono nate e morte molto
rapidamente, ma prese nel loro insieme costituiscono un fenomeno
consistente e in crescita, di portata nazionale. Un’importante eccezione
rispetto alla tendenza generale di queste proteste a non sapere o
volere autosostenersi si è verificata nella township di Khutsong. Qui il
tentativo dello stato di imporre dall’alto l’arretramento dei confini
provinciali per spostare la township dalla provincia più ricca, il
Gauteng, nella provincia più povera del Nord Ovest, si è tradotto nello
scontro più aspro tra popolazione e stato nel Sudafrica del
opo-apartheid.
E a Durban, nel 2005, la protesta degli abitanti di una baraccopoli
ha portato alla nascita del movimento organizzato Abahlali baseMjondolo
(AbM). Sin dall’inizio il movimento ha rigettato tutte le forme di
politica dall’alto ed ha sottolineato che i poveri sono in grado di
pensare autonomamente le loro lotte. L’AbM vedeva con favore la
partecipazione della classe media, ma solo a patto che questa fosse
disposta ad operare attraverso le strutture democratiche del movimento, e
non dall’alto.
Inizialmente l’AbM si era proposto come voce indipendente dentro
l’Anc, chiedendo terra, case e servizi, e una pianificazione urbanistica
partecipativa piuttosto che tecnocratica. Ma la portata della
repressione subita ha costretto il movimento a una netta indipendenza
dall’Anc. Esso ha sviluppato una politica culturale profondamente
democratica e gentile, in un paese dominato dal machismo. Anche se l’AbM
ha deciso di non seguire la via elettorale per fare politica, lo
storico congolese Jacques Depelchin, che ha avuto l’opportunità di trascorrere del tempo sia in Sudafrica che ad Haiti, sostiene che ci sono forti parallelismi tra l’AbM e il Fanmi Lavalas.
Nel 2006 L’AbM, insieme al Landless People’s Movement e alla
Anti-Eviction Campaign ha organizzato un boicottaggio elettorale con lo
slogan No Land! No House! No Vote! Il boicottaggio dell’AbM è risultato
particolarmente efficace. Ma il boicottaggio più efficace, che ha
raggiunto un astensionismo quasi totale - ricorrendo anche
all’intimidazione - è stato quello del Khutsong.
In quello stesso anno, un gruppo interno all’Anc ha cominciato a
lanciare una aggressiva campagna in favore dell’elezione di Jacob Zuma
alla Presidenza del partito e del paese. Inizialmente questa campagna si
era tradotta in un sostegno a Zuma nel corso del suo processo per
stupro, che aveva assunto presto una forma apertamente sessista ed
etnicamente sciovinista.
Nel maggio 2008 la piega verso una politica più ristretta di
sciovinismo etnico e nazionale ha portato a una serie di pogrom popolari
contro i migranti. Tutti i movimenti, in linea di principio, hanno
preso posizione contro gli attacchi ma la Treatment Action Campaign ha
svolto un compito particolarmente importante organizzando il lavoro di
assistenza, e l’AbM è riuscita a impedire che avvenissero attacchi nelle
aree sotto il suo controllo. L’Aec è stata più lenta ad assumere una
iniziativa pratica decisiva, ma nei mesi e anni successivi agli attacchi
si è impegnata costantemente per negoziare la risoluzione delle
tensioni, specialmente sul tema del commercio.
le proteste non si fermano
Nel settembre 2008 l’Anc ha deposto Mbeki dalla presidenza ed ha
nominato il vice presidente del partito, Kgalema Motlanthe, presidente
ad interim fino alle elezioni politiche del 2009, dopo le quali sarebbe
diventato presidente Zuma. L’Anc stava perdendo consensi elettorali, e
prima delle elezioni ha cercato di smorzare le tensioni sociali più
urgenti. Ha subito abbandonato il suo atteggiamento negazionista
sull’Aids e ha cercato di trasformare l’antagonismo con la Tac in una
alleanza. La township di Khutsong è stata reintegrata nella provincia
del Gauteng, una scelta che ha messo fine a cinque anni di ribellione.
Con l’eccezione della Treatment Action Campaign, tutti i movimenti
hanno boicottato le elezioni politiche nazionali. Ma questi boicottaggi
hanno generalmente avuto molto meno successo di quelli relativi alle
elezioni amministrative. Comunque, pochi mesi dopo l’elezione di Zuma la protesta
popolare ha raggiunto livelli record, e nel 2010 il tasso
straordinariamente alto di manifestazioni di protesta è salito ancora.
Alcune ricerche hanno dimostrato che ci sono state più proteste nei primi sette mesi del governo Zuma, che negli ultimi tre anni del governo Mbeki.
Ma, con l’aumentare delle proteste, la repressione è diventata più
dura. Il governo Zuma ha militarizzato la polizia, e nel settembre
dell’anno scorso una folla armata ha attaccato i principali esponenti
dell’AbM nella baraccopoli di Kennedy Road a Durban, scandendo slogan di
contenuto etnico. Con il pieno ed esplicito sostegno della polizia e
dei principali politici dell’Anc, la folla è riuscita a trascinare via
dalla baraccopoli centinaia di persone. Due giorni dopo Haroon Bhorat,
un professore di economia presso l’Università di Cape Town, ha informato
il parlamento sudafricano che il Sudafrica aveva sorpassato il Brasile
diventando «la società con la maggiore disuguaglianza al mondo».
L’AbM si è ripreso dagli attacchi, tanto che dal 2009 ha lanciato
nove nuove sezioni. Nel marzo 2010 è riuscito anche a organizzare con
successo una marcia di protesta contro Zuma nel centro di Durban, e
resta il più grande movimento di poveri del paese. Ma per alcuni mesi i
suoi processi democratici sono stati gravemente inficiati, e questo è
stato un vero danno per il movimento. Non è ancora chiaro quali saranno
le conseguenze a lungo termine.
In Sudafrica gli intellettuali nazionalisti hanno avuto la tendenza a
considerare decisiva la questione terriera, mentre gli intellettuali
socialisti hanno avuto la tendenza a considerare decisiva la lotta dei
lavoratori nelle città. Ma in realtà è stata la lotta dei poveri nelle
città, molti dei quali vivono in baracche e senza un lavoro stabile, a
produrre la sfida popolare più forte e militante all’Anc e al suo
tentativo di usare il partito come mezzo di controllo sociale dall’alto.
Il fermento politico che sta crescendo tra i poveri delle città ha
assunto molte forme: alcune progressiste, altre reazionarie.
Probabilmente è qui che si deciderà il futuro del paese.